Outdoor Education – Non solo stare all’aria aperta

Da qualche tempo nei Nidi e Scuole dell’Infanzia si parla di Outdoor Education, come qualche anno fa di Psicomotricità… Ma attenzione all’uso inflazionistico di termini che invece corrispondono a discipline educative ben precise, sottese da studi importanti e che non meritano certo l’improvvisazione per marketing a buon mercato. Anche noi ne abbiamo fatto uso, ma nel frattempo che scrivevamo di Outdoor Education facevamo anche approfondimenti. Tra cui uno studio di fattibilità condotto su diversi siti potenziali per l’avvio di Agri Nidi in Lombardia dove implementare questa pratica educativa, e un corso di formazione biennale di 90 ore, appena concluso, condotto dalla società di formazione padagogica Nature Rock di Montopoli Valdarno (Pisa).
Outdoor Education quindi, per il suo fondatore Kurt Martin Hahn, pedagogista tedesco, non è solo esperienze in natura o in open air bensì un tenere viva l’istintualità e selvaticità dei bambini prima che le convenzioni sociali le normatizzino. Il metodo d’insegnamento non è scolastico-disciplinare ma esperienziale, ripercorrendo le tre aree evolutive (cognitiva, corporea ed emotiva) che interessano lo sviluppo del bambino intersecandosi tra loro nell’esperienza diretta (le 3H: head hand heart).
In questa pratica l’educatore non è direttivo ma propositivo, crea la regia per l’azione del bambino e non interrompe l’azione del gioco fino ad esaurimento dell’apprendimento naturale. Con l’Outdoor Education il bambino esce dalla “zona di comfort” della relazione famigliare o diadica protettiva mamma-bambino ed entra nella “zona di rischio”, la più ricettiva, dove si sviluppano gli apprendimenti, e impara a fermarsi prima della “zona di panico”, così definita l’area della paura e della ritrosia nei confronti del mondo esterno.

L’Outdoor Education forma la cooperazione nei bambini, attraverso l’azione del cerchio con la candela attiva la condivisione, le regole di gruppo, il rispetto dei tempi di ciascuno e le potenzialità, secondo quelli che anche Montessori e Wigotsky definirono i momenti potenziali di sviluppo o periodi sensitivi. Col tempo il bambino coniuga l’esperienza diretta col proprio bagaglio cognitivo ed emotivo e l’esperienza oggettiva diventa vita soggettiva, sensibilità personale, sempre sotto la lente di ingrandimento dell’adulto consapevole e dell’ambiente educante.