IL JUDO CONTRO IL BULLISMO

di Claudio Cristiano maestro judo abilitato dal 1999

La parola JU-DO significa letteralmente “il miglior impiego dell’energia”, ovvero la massima efficacia con il minor dispendio di energie. Questa antica arte marziale giapponese oltre all’allenamento fisico introduce ideali e valori quali amicizia, mutuo benessere, superamento del concetto di vittoria e confitta, comprensione del prossimo e comportamento corretto anche fuori dalla palestra nelle relazioni sociali ed umane. Questi ideali vennero introdotti per ribaltare la vecchia concezione puramente difensiva delle arti marziali, poichè introducevano nuovi obbiettivi da raggiungere, come socializzare, praticare attività fisica senza violenza, aiutarsi reciprocamente, meditare, essere sè stessi in modo autentico, affrontare l’avversario con umiltà e rispetto.

Il judo si accompagna perfettamente alla psicologia e all’educazione nell’età evolutiva tra i 6 e i 18 anni.

Nel periodo dai 6 agli 11 anni il bambino inizia il percorso scolastico introducendo nuove competenze cognitive, razionali ed esperienze importanti, che talvolta possono trasformarsi in fonti di stress.

A seguire, dagli 11 ai 18 anni, il giovane vive il periodo della vita più incerto e problematico, l’adolescenza. In questa fase l’individuo vive la rinnegazione dell’identità infantile per cercare quella prettamente adulta. In questa fascia d’età i cambiamenti si susseguono in modo repentino, le problematiche presenti nel carattere infantile si acuiscono creando un inevitabile stato di disagio, paura, impermanenza, inopportunità. L’approvazione e l’accettazione da parte dei coetanei diventa essenziale per cambiare radicalmente il modo di rapportarsi alla realtà. E’ proprio in questa fase che il ragazzo inizia il vero distacco dai genitori; l’appartenenza ad un gruppo diventa fondamentale per la conferma della propria identità e per definire il proprio ruolo sociale. Tipico degli adolescenti è il bisogno di confrontarsi, di mettersi costantemente alla prova con azioni mirate a suffragare la propria importanza e visibilità, a volte provocatoriamente, per misurarsi con gli adulti. La trasgressività, unita alla messa in discussione delle regole date, sono caratteristiche dell’età adolescenziale, che spesso portano a comportamenti rischiosi come l’autolesionismo, il bullismo, atteggiamenti antisociali e persino deliquenziali.

Questo modo di essere portato all’esasperazione è quasi sempre correlato a situazioni di disagio pregresse, che hanno destabilizzato l’equilibrio psico-fisico del ragazzo in fase di crescita. Ecco che lo sport in genere, ma il judo in particolare, viene citato da psicologi sportivi per la sua etica e per l’utilità educativa. Le regole che lo caratterizzano infatti rappresentano per i ragazzi una fonte di ispirazione e di contenimento di questa loro emotività esuberante che ha bisogno di una canalizzazione.

Il percorso del judo individua tre potenziali educativi: la conoscenza di sè, l’autostima acquisita con l’esercizio psico-fisico, la cooperazione con gli altri. Questi tre aspetti si estrinsecano in un contesto di gruppo, che è di accettazione di sè e degli altri, dove si sviluppano le virtù del coraggio, onestà, benevolenza, educazione, sincerità, onore, lealtà. A questi valori morali il judo unisce un principio giapponese molto antico: “la cultura senza forza è inefficace, la forza senza la cultura è barbarica”. Quindi la scuola, l’intelletto e la cultura in sintonia con un corpo forte ed allenato, rappresentano un perfetto connubio per l’educazione completa di un individuo.

Il judo si pone come strumento educativo che può essere applicato fin dalla tenera età sotto forma di gioco, in grado di portare i ragazzi ad una progressiva e positiva evoluzione, dalle ripercussioni sul singolo ma anche sulla collettività.

Ma veniamo al judo e bullismo.

Jigoro Kano, fondatore del judo, si prefisse proprio lo scopo di fornire un supporto ad adelescenti e preadolescenti: una disciplina capace di incanalare pulsioni ed emozioni, spesso ingestibili per i ragazzi stessi. Questa disciplina con le sue regole, tempi prestabiliti, l’aggregazione in gruppo che obbliga al confronto civile, ricrea un ordine mentale e gerarchico, lontano da quello di un gruppo di bulli. L’affermazione attraverso la forza non si manifesta con atti criminosi ma ha un fine di natura sportiva, il gruppo ha obbiettivi morali, il tempo viene impiegato per forgiare il corpo e la sfida si trasforma in una dimostrazione delle proprie abilità.

Il judo convoglia positivamente in un sistema costruttivo e dinamico, quelle energia che, se lasciata a sè stessa e mal governate, può generare individui poco felici, aggressivi e quindi socialmente pericolosi.

Ma vediamo in pillole le fasi di insegnamento del judo: la fase propedeutica dedicata ai bambini della primaria si basa sulla conoscenza e l’accettazione del proprio corpo, con attività atte a rinforzare la muscolatura e l’alasticità; mentre il bimbo evolve nel fisico vengono insegnate tecniche di caduta, ordine e disciplina necessarie succcessivamente per la corretta esecuzione delle tecniche più avanzate.

Nella fase dedicata ai ragazzini delle medie viene affrontata la conoscenza di sè stessi, non solo dal punto di vista corporeo ma anche spirituale; in questa epoca spesso viene manifestato un senso di disprezzo di sè con compimento di atti autolesionistici o di bullismo nei confronti dei più piccoli o deboli. In questa fase il judo introduce azioni più complesse, che chiedono concentrazione e impegno fisico, questo porterà in breve i ragazzi a migliorare la propria autostima, sia per l’aspetto fisico che per le capacità sviluppate.

La fase dedicata ai ragazzi delle superiori, che hanno l’età in cui accadono i casi più eclantanti di bullismo, vengono insegnate tecniche importanti con l’obbiettivo di preservare l’etica dell’arte marziale, in grado di migliorare i loro comporamenti e dare loro soddisfazione, serenità e sicurezza in sè stessi.

Questo in sintesi è il concetto alto di “educazione”, il cui significato non è meramente intellettuale o regolatorio, ma passa anche dalla morale condivisa, funzionale all’integrazione sociale, e anche dalla formazione fisica.

Testimonia Jigoro Kano: “Dopo due anni di studio e allenamento il mio fisico cominciò a trasformarsi e ad acquisire robustezza muscolare. Sentivo leggerezza nell’animo e mi accorgevo che il caratttere irascibile che avevo da ragazzo, diveniva sepre più mite e paziente e che la mia indole acquisiva maggiore stabilità. Alla conclusione dei miei studi del Judo approdai auna mia verità: questo insegnamento poteva essere applicato a risolvere qualsiasi circostanza in ogni momento della vita, tanto che in me si fece strada la convinzione che tale beneficio psico-fisico dovesse essere portato a conoscenza di tutti e non solo riservato a una ristretta cerchia di praticanti”.