BES E IPERDIAGNOSI

Abbiamo seguito il corso di formazione con Daniele Novara e lo staff del suo centro di psicopedagogia CPP di Piacenza, in tre sessioni dal 3 al 17 dicembre 2020.

Curare con l’educazione ha offerto una panoramica generale sul problema della differenza tra diagnosi e iperdiagnosi, di cui c’è ampia testimonianza nell’aumento esponenziale dei numeri di bambini diagnosticati come BES, DSA, ADHD e via siglando.

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I disturbi di cui ormai si affollano le classi, dall’Infanzia alla Primaria, di primo e secondo grado, sono deficit dello sviluppo neuropsichico caratterizzati da iperattività, impulsività, incapacità di attenzione e concentrazione, disturbo oppositivo provocatorio e altri disturbi specifici dell’apprendimento come dislessia, disgrafia, discalculia, in aumento sono anche il mutismo selettivo, le sindromi da spettro autistico, ecc.

A fronte di diagnosi importanti, per le quali ci inchiniamo tutti ai traguardi della psichiatria, si rileva che molte altre rispondono ad una facilità neurodiagnostica che lascia molti pedagogisti perplessi. Si tratta – dice Daniele Novara – di un tentativo neanche troppo velato di trasformare l’infanzia in un periodo quasi patologico. (La pandemia ha poi enfatizzato tutto questo: si pensi che durante il primo lockdown il legislatore preferì mandare in libertà i cani ai giardinetti piuttosto che i bambini! Abbiamo la scuola più sanitarizzata del mondo e si assiste ad una proiezione persecutoria nei loro confronti – sono untori e devono restare a casa! – mentre sarebbe più sano e controllato mandarli a scuola piuttosto che reclusi nelle loro case davanti al computer! E in più li si vuole medicalizzare facendo loro indossare la mascherina per 8 ore e sottoponendoli a continui tamponi!)

Ci sono molte testimonianze di genitori sollecitati dalle insegnanti su bambini troppo vivaci, ingestibili ecc. che abbisognano di specialisti, specificamente di neuropsichiatri. Poi si scopre che tante criticità sono da ricercarsi in un’errata educazione.

In passato erano altri gli errori diagnostici: ogni inverno venivano tolte le tonsille a centinaia di bambini in quanto causa di mal di gola. I piedi piatti venivano curati con scarponi rigidi che impedivano la motricità libera e i bambini mancini venivano costretti a scrivere con la mano destra. Oggi però è peggio, sembra esserci un’epidemia di malattie neuropsichiatriche nella prima infanzia, che trovano il crogiuolo proprio nella scuola con maestre che si ergono a interpreti medicali e segnalatori di prima linea con l’annesso orgoglio narcisistico di “salvatrici”.

I dati del MIUR e dell’ISTAT sulle neurocertificazioni scolastiche, nonchè delle ASL che certificano i numeri sanitari attraverso le diagnosi funzionali, riguardano anche l’aumento delle richieste di insegnanti di sostegno. Infine a comprova abbiamo anche l’aumento delle spese comunali per l’assistenza educativa agli alunni con queste paradisabilità.

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Si è creato un cortocircuito che allontana dal vero problema, che sta nel bisogno di maggior attenzione verso bambini ed adolescenti sotto il profilo puramente educativo. Spesso le diagnosi possono infatti essere smontate e riportate nell’alveo della semplice immaturità del soggetto, che viene anticipato nella scolarizzazione (l’età della richiesta di performance si abbassa sempre di più) e precocizzato nella richiesta scolastica. I bambini investiti dalla maggior morbilità neuropsichiatrica sono sopratutto maschi, che sono ancora oggetto delle maggiori aspettative sociali (resiste ancora il mito della brava bambina e del bambino monello). I dati più allarmanti sono alla Primaria dove gli screening vengono fatti il più precocemente possibile. Gli insegnanti chiedono ai genitori di fare verifiche, destabilizzandoli sul piano emotivo e mandandoli in ansia e depressione; essi soprattutto si convincono di aver un figlio minorato, con la conseguenza probabile di indurre il figlio ad entrare nella parte.

Non stiamo parlando di evidenze di handicap ma di disturbi comportamentali e dell’emotività dove l’osservatore può soggettivizzare l’osservazione e mutare il punto di vista sull’osservato. Mentre per esempio casi di handicap veri, quali la trisomia o l’epilessia, si individuano senza ombra di dubbio come malattie conclamate e vanno colte al volo per poter intervenire sul neuro sviluppo. Qui invece si tratta solo di un eccesso di solerzia, ingiustificato, non è affatto sollecitudine o sensibilità verso l’infanzia ma una tendenza ormai ben delineata a conseguire in prognosi psichiatriche e farmacologiche.

I dati mostrano un incremento di certificazioni, addirittura in età da nido, che vengono fatte confluire nei dati sui disabili, a uso della legge 104 e di studi privati che costano alla famiglia fior di quattrini. L’alunno difficile, quello che disturba, non c’è più, è un disabile, uno affetto da disturbi pervasivi della personalità.

A fronte di tutto questo, si vede che non esiste più uno spazio per progetti di attività preventive, educative, pedagogiche, per una vera cultura dell’infanzia e della genitorialità. L’intervento più necessario oggi è quello educativo.

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