A SCUOLA CON LA VOGLIA DI IMPARARE

di Francesca Corbella

Scansato lo spettro della DAD, fra pochissimo i ragazzi tornano sui banchi, ma per fare cosa, viene da chiedersi?

La dimensione della bellezza dell’apprendimento, scopo primo della scuola, pare scivolata in fondo ad altre priorità: parrebbero al primo posto gli organici scolastici – sindacalizzati, burocratizzati, ingessati in un sistema ministeriale e giuridico che non incentiva la libertà di esprimersi nella professione, piuttosto di bambini e ragazzi e degli stessi docenti che si danno con anima e cuore.

Invece la voglia di imparare è una dimensione che riveste un’importanza centrale nella vita scolastica (lunga 25 anni) di uno studente e dovrebbe essere la priorità.

Poter conoscere le cose in una pluralità di ambiti, sviluppare svariate competenze, riuscire a leggere la realtà in modo consapevole e critico, saper interagire in maniera costruttiva e rispettosa, maturare la propria identità e capacità di assumere scelte responsabili: sono tutti obbiettivi piuttosto disattesi dalla scuola. Essa pare dedicata esclusivamente agli insegnamenti disciplinari impartiti per lo più in linea diretta verticale: calati dall’adulto all’allievo.

La scuola oggi è un organismo sofferente, come un mastodonte che si dibatte in sé stesso, nella propria incapacità a muoversi e ad avanzare, a mettersi ritto in piedi e guardare avanti.

Se la scuola appare demotivante, l’appello è alla consapevolezza personale: per avviare bene il nuovo anno scolastico occorre avere voglia, anche laddove l’organismo mastodontico non invita a farlo. E questo appello è valido sia per gli studenti sia per i docenti.

Nell’apprendere, nello studiare e anche nell’insegnare si provano molte emozioni, talune piacevoli come la soddisfazione, il senso di sfida, la gioia per scoprire cose nuove, ma altre meno lusinghiere come la frustrazione, la difficoltà, la noia, l’ansia. Imparare a rendere motivante il percorso scolastico significa stare dalla parte positiva della barricata, in modo da percepire meno la fatica e tenere alto l’impegno anche a fronte di difficoltà e insuccessi. Diversamente le emozioni spiacevoli spingono all’evitamento, all’abbandono del compito alle prime difficoltà, a procrastinare gli obblighi e a comportamenti non funzionali alla riuscita.

E’ importante cogliere i valori e gli obbiettivi che vengono trasmessi dall’ambiente scolastico, cercarvi i presupposti per l’autonomia e la crescita, la qualità dell’insegnamento che può fornire un supporto costruttivo alla prestazione e all’impegno, le proposte di attività coinvolgenti che stimolino la curiosità.

Se il compito dato allo studente è autentico, ovvero stimola l’attenzione e la sfida, egli percepirà coinvolgimento e riterrà importante l’attività proposta e autorevole l’insegnante che si cimenta in questo lavoro. Diversamente un compito non autentico, un insegnante non presente, non offriranno la possibilità di sperimentare la padronanza della materia e quindi la stima di sè, e lo studente sentirà una bassa percezione di valore che lo porterà a manifestazioni di noia o di ritiro.

Le emozioni piacevoli risultano efficaci nel promuovere l’autoregolazione nell’apprendimento, innescando la voglia di imparare per sé stessi e non per la scuola, non per la verifica o per compiacere gli adulti. Le emozioni piacevoli infatti innescano un processo ricorsivo, per cui ampliano il repertorio di risorse, favoriscono la rielaborazione delle informazioni ricevute, rendendo maggiormente aperti ai processi cognitivi. Così si entra in animo di aspettarsi che le cose vadano bene, si diventa resilienti reagendo positivamente anzicchè soccombere davanti alle difficoltà. La creatività aumenta, con la capacità di pensare a soluzioni alternative e individuare modalità differenti per affrontare i problemi. Le emozioni positive trasformano la persona che risulterà più pronta ad esperire altre sollecitazioni positive, conseguendo ancora più voglia di imparare!

A spirale, se il vissuto degli studenti è piacevole, anche negli insegnanti si innescherà un meccanismo volto ad accrescere l’auto motivazione e credere di più nel proprio lavoro e ruolo.

Vedete come l’acquisizione personale di competenze e abilità facciano sentire protagonisti capaci e fiduciosi tutti gli stakeholder in gioco nella classe e nella scuola. Così la scuola diventa il sito elettivo per direzionare l’apprendimento con entusiasmo verso scopi e obbiettivi ben chiar; attraverso la trasmissione affettiva gli insegnanti possono comunicare agli studenti la passione per la conoscenza e la cultura, incoraggiare le aspettative di riuscita, dare valore al merito. Una scuola che insegna ad apprendere, come prima cosa infonde fiducia nel padroneggiare il compito e migliorare, mette al centro lo studente e non la disciplina, offre un feedback sulla prestazione e non un giudizio sulla persona.

Specularmente se il docente prova piacere nell’insegnare in questo modo lo studente proverà piacere nell’apprendere. Ciò avviene per “contagio emotivo” ovvero il docente funge da modello di atteggiamenti e vissuti emotivi verso specifici ambiti, per il meccanismo dell’emulazione gli studenti condividono la gioia per la scoperta e il piacere di imparare e di riuscire.

Non è tuttavia l’entusiasmo per la materia bensì per l’insegnamento a fare la differenza. Che ai docenti piaccia la loro materia è senz’altro un fatto apprezzato dai ragazzi tuttavia ciò che viene colto di più è l’entusiasmo nel voler trasmettere delle conoscenze. L’insegnante motivante è sì appassionato della materia ma ha anche una notevole efficacia, capacità di regolare senza sopprimerle le proprie emozioni, di suscitare empaticamente quelle degli studenti, ha delle convinzioni motivazionali e desidera condividerle con la platea ristretta e scelta dei suoi studenti. Questo professore conosce i suoi studenti, è convinto che tutti possono riuscire tramite l’impegno e sarà disposto quindi a investire affinchè ciascuno di essi migliori mettendosi in gioco; infine sa promuovere le potenzialità elaborando strategie specifiche declinabili per i vari casi particolari, volte proprio a favorire la gioia di apprendere.

L’entusiasmo diventa così circolare, e l’insegnamento non è più verticale, da docente a studente, ma dialogico.

Imparare è per l’essere umano una fonte di piacere per sua natura; sapere una cosa che prima si ignorava è una conquista. Riuscire a fare ciò che prima non si riusciva è una soddisfazione, è un principio di trasformazione. Perché allora pare così difficile nella scuola di oggi? Perché si assiste a una demotivazione, all’assenteismo sui banchi di scuola, all’abbandono scolastico, alla depressione? Il naturale fluire di piacere nell’apprendimento si inceppa nel suo corso naturale. Talvolta i fattori bloccanti sono individuali ma al giorno d’oggi si notano quelli collettivi. I ragazzi non si sentono capaci e perdono la voglia di applicarsi: vuol dire che la richiesta è troppo alta. Oppure pur sentendosi efficaci non hanno il desiderio di spendersi. A volte concorrono diverse fonti di disaffezione. All’origine del poco piacere di imparare ci può essere un insieme di cause.

Il livello di aspirazione è basso perché i modelli sociali sono troppo inarrivabili e talmente “irreali da esserci motivi impliciti per la non riuscita. Le razioni di fronte a compiti nuovi sono di resa o di noia o di paura dell’insuccesso, la sfida e la competizione sono troppo stringenti, generano ansia da prestazione. Tutte queste concause soffocano il piacere dell’apprendimento.

La scuola oggi è anche immensamente teorica: manca di esperienzialità, non invita i ragazzi a provarsi sul campo. I laboratori sono diventati virtuali, l’online è la morte della tangibilità della dottrina impartita, resta sulla carta. I ragazzi hanno bisogno di concretezza, di materia viva. Davanti alla prospettiva di una gita scolastica di studio, dove quindi si sperimenta quanto appreso in teoria, si vede subito che ciò stabilisce una disposizione efficace alla memorizzazione, al ragionamento, la base concettuale ricevuta in classe si traduce in senso. Insegnare deve poter significare accompagnare nell’applicazione, prima guidata e poi via via più autonoma, delle diverse proposte.

Per comprendere i nuovi argomenti bisogna essere fattuali, offrire una strategia di studio e di approfondimento che si radica nella mente perché confermata nella realtà. Questo tradursi in pratica sostiene l’autoefficacia ovvero la percezione del controllo sul proprio apprendere, e anche l’autocorrezione, senza bisogno di voti o giudizi. Solo questo può dare valore al compito. Per rafforzare l’importanza e l’utilità della materia non basta rendere stringente la valutazione con lo spauracchio del brutto voto, occorre dare aspettative di riuscita legate ai valori della riuscita, che significa far trovare collegamenti tra l’argomento e la propria vita. Quale legame esiste tra questa materia e gli interessi personali dei ragazzi? Occorre partire quindi da spunti, possibili sviluppi, agganci con la realtà che dimostrino l’importanza della conoscenza, riportando casi e testimonianze.

Il desiderio di non impegnarsi può essere determinato anche dal non sapere come fare o dal non ritenere importante la cosa; oppure da convinzioni poco funzionali per esempio che la riuscita dipenda dal favoritismo dell’insegnante o dalla fortuna. Talvolta il convincimento è che la riuscita senza fatica è per chi è portato e quindi a chi non lo è non serve impegnarsi. Per modificare tale convinzione disfuzionale e portare a considerare le proprie capacità come facoltà della crescita a disposizione di tutti, possono essere implementati interventi strategici che hanno alla base la domanda: perché sei riuscito? Accompagnando a riconoscere soprattutto la dedizione personale quale causa del successo.

Ricordiamoci sempre che l’apprendimento migliora le connessioni neuronali e quindi l’efficienza intellettuale, e quindi rafforzare la convinzione che con l’impegno e la persistenza si può imparare e crescere.

Liberarsi del concetto di obbligo dello studio per entrare nel piacere dell’apprendere è fondamentale per fugare la paura di sbagliare. L’insegnante dovrebbe lavorare quindi sugli ambiti dove gli studenti performano bene per consentire l’autoaffermazione dei singoli. Tale attestazione di autostima favorisce uno stato di liberazione dalla paura di essere inadeguati e incapaci, dando la carica per proseguire.

Infine ci può essere la stanchezza: l’insegnante dovrebbe calibrare la complessità della consegna adeguandola alle personali abilità, senza annoiare con richieste troppo blande ma nemmeno ingenerare ansia e rifiuto con compiti troppo articolati.  E’ il cosiddetto apprendimento adattivo, dove cioè la difficoltà del compito aumenta con l’accrescimento individuale delle abilità, che a loro volta accrescono con il confronto e l’applicazione in attività fattibili e significative di per sé.

Solo così la scuola si pone come locomotiva di saperi automotivati e l’insegnante come motivatore di apprendimenti incrementali, in un clima supportivo che sostiene, valorizza ed entusiasma.

Con il contributo di Angelica Moè, Università degli Studi di Padova: Il piacere di imparare e di insegnare, Mondadori