IL PATERNO
Dal convegno di Scuola Genitori del Centro Psicopedagogico di Piacenza CPP con Massimo Lussignoli
Il ruolo educativo del padre, né autoritario né amico: c’è un’altra possibilità
Come si suol ripetere la figura del papà oggi è in crisi e le conseguenze sono rilevanti per la crescita e lo sviluppo dell’autonomia di bambini e ragazzi. Ma come aiutare i nuovi padri a sviluppare un’azione formativa più specifica che superi i modelli passati del padre padrone ed eviti anche la confidenza eccessiva del papà amicone?
Quale modello di padre è il più efficace?



Vediamo diffusamente il modello di padre che sprona. E’ il tipo del padre tifoso, che incita il figlio in modo agguerrito e crea fatica nel figlio perché non si sente all’altezza del padre.
Il padre che limita. Questo è un padre che attacca, che tarpa le ali al figlio, che lo diminuisce, anzicchè nutrire l’autostima la mortifica, anche se agisce o parla in modo scanzonato il suo atteggiamento è aggressivo.
Il padre che si sottrae. Padre alla pari o pigro o che si toglie, è un padre delegante, che sta fuori dai giochi, è un modo di non stare dentro alla genitorialità ma di essere fuori dalla scena educativa, magari intervenendo con la voce grossa all’ultimo minuto esercitando il ruolo autoritario di facciata.
Il padre accessibile. E’ il tipo di padre sempre a portata di mano, giocherellone, sintonizzato coi figli ma che scende alla pari e perde il ruolo di guida, è il padre che indossa la veste goliardica col figlio, fa la lotta, gioca come identificandosi coi desideri del figlio e utilizzando i giocattoli come fossero i propri oggetti desiderati (miniauto elettriche)
Ma perché il padre è in crisi?
Crisi: dall’etimologia = separazione, decidere
Da cosa ci siamo separati? Dove siamo approdati? Da quale tipo di paternità abbiamo voluto separarci?
Se è abbastanza chiaro da dove ci siamo spostati (modello del passato) è meno chiaro dove stiamo arrivando.
Un segno dei tempi evidente sta in questa testimonianza:
“Carissimo papà, mi hai chiesto perché sostengo di aver paura di te. Come al solito non ho saputo darti una risposta, in parte appunto per la paura che mi incuti…” Franz Kafka, lettera al padre.
Il tema dell’autoritarismo, del padre padrone, è il focus su cui ci possiamo concentrare per capire da dove nasce la crisi, una crisi dei valori globale che include la rivoluzione del modello paterno. Ci siamo separati dalla famiglia patriarcale, normativa, che è perdurata per secoli fino a metà Novecento, che aveva l’obbiettivo della continuità genealogica, i figli mantenevano lo status sociale, il prestigio del nome, che era il nome del padre. Questo modello ha retto tanti secoli ed è ancora presente in alcuni paesi ma non è più parte del mondo occidentale. Dagli Anni ‘50 si è voluto proprio annullarlo, l’apice è giunto con il famoso movimento del ‘68 che proprio è andato a minare sostanzialmente la figura autoritaria e ha sedimentato una serie di fratture del contesto socioculturale fino a che si è creata la spaccatura definitiva.
Negli anni 70 emerge una figura accessibile di padre, che si dimostra umano ma pur sempre superiore ai figli, un padre autonomo nella sua azione educativa di apritore di piste e di esperienze verso il mondo, un padre che asseconda i desideri, un padre che dice sì, disponibile a tutti i costi, non impone più il “devi” e cerca un rapporto col figlio paritetico; spoglia il concetto della forza paterna che non è più impositiva ma la forza dell’eroe che si pone al centro, un padre emancipato dalla madre, poco presente nella quotidianità ma presente nei momenti ludici e di relax (es. canzone Sei forte papà di Gianni Morandi).
Il maggiore accudimento da parte dei padri è stata una conquista, ben inteso, il padre che cambia i pannolini, nutre e spinge il passeggino è un passaggio importante che è andato a sistema negli anni ‘80 e ‘90, un padre che va a inserirsi nella cosiddetta famiglia affettiva in alternativa alla famiglia autoritaria. I figli non sono più cercati come manodopera per la famiglia ma vengono desiderati per essi stessi, fino ad arrivare al figlio unico. Ascolto e comunicazione vengono prioritariamente come valori fondanti della relazione. Mettendo in crisi l’autorità si assiste anche ad una privatizzazione educativa, non è più una cosa sociale ma individuale.
L’evoluzione però a cui siamo arrivati è quella del padre che è diventato papà, si innesca una dimensione del gioco coi figli che va bene ma è divenuto eccessivo.
Nel conquistare nuovi terreni per i padri, sono mancati ai bambini nuovi riferimenti. Il nuovo padre fa riferimento al materno. Padre più presente in casa e meno nella società. Si è creata quindi una maggiore frammentazione, ovvero le realtà famigliari sono diventate delle monadi separate e individualiste e si appoggiano meno sulle reti sociali.
A che modello siamo arrivati? Il nuovo paterno, facendo fatica a costruirne un altro, in qualche modo si è appoggiato al modello genitoriale materno, che a sua volta ha conquistato nuovi spazi sociali e quindi è divenuto predominante. Il padre ha conquistato nuove pratiche ma molto legate alla soddisfazione dei bisogni dei figli, in linea con l’accudimento. Sussistono però alcuni campi stereotipici culturali che appartengono sempre al paterno, svuotato di senso: fare la predica, pretendere di insegnare i valori, che si esprimono in luoghi comuni come “Ai miei tempi, il tuo nonno, vedi anche il tuo amico… Se continui così finisci male”.
Quali esiti? Cosa abbiamo perso e guadagnato?
Guadagnato:
- l’abbandono dell’uso della forza fisica continua e ripetuta nell’imporci le regole
- una migliore relazione coi f figli
- una maggiore vicinanza con i figli
- flessibilità, adattamento ai bisogni
Perso:
- il senso della norma
- fermezza (che non è rigidità)
- gli obbiettivi/l’orizzonte verso cui dobbiamo tendere nel cresce i figli
Siamo passati da un’ingerenza fisica (botte) ad un’ingerenza affettiva, siamo nella dittatura dell’amore. Dove in nome dell’amore si crea confusione, si cede il ruolo genitoriale, si continua a sostituirsi e sovrapporsi ai figli.
Noi dobbiamo educare i figli non “per goderceli” come afferma qualcuno (non sono un bene di consumo!) ma perché diventino grandi, adulti, con discernimento e intelletto. Se noi perdiamo di vista questo scopo cadiamo nell’orizzonte del “Voglio una relazione bella con mio figlio”, vedete quanto il genitore sia auto riferito. Mentre dobbiamo essere etero riferiti, noi dobbiamo portare il figlio al traguardo, non portarci noi stessi.
La vicinanza ai figli è eccessiva, perché è diventata un’espressione dell’affetto che il genitore cerca per sé.
Il paterno è quello che simbolicamente in ospedale taglia il cordone ombelicale. Il padre deve diventare protagonista della fase evolutiva dell’adolescenza. Sicuramente si interfaccia con la madre ma poi è il padre che prende su di sé il ruolo di guida nella fase di gestione del distacco, in cui il ragazzo lascia la mamma e l’accudimento infantile e ha bisogno di un altro tipo di guida che lo porti all’autonomia.
Paterno in adolescenza: nella fase preadolescenziale il ragazzino/a acquisisce il pensiero logico-astratto intorno agli 11 anni, si allontana dalla madre, si interessa quasi esclusivamente ai coetanei. Non ha più bisogno di accudimento ma di un confine preciso, di un incanalamento, di sostengo al suo bisogno di riconoscimento personale. Ci sono alcuni rituali paterni in questo momento: paghetta, chiavi di casa, telefono cellulare. Ma occorre negoziare le regole, con paletti chiari, orari, soldi, uso dei devices ecc.
A 11 anni è l’esordio della convergenza educativa sul padre, invece della sfuriata è meglio il silenzio attivo.
Nela fase dell’adolescenza i ragazzi scoprono l’affettività e la sessualità e sono impegnati ad apprendere tutto quello che serve per staccarsi dai genitori (studio, sport, lavoro ecc.). In questa fase il padre non deve dare confidenza ma essere una sponda che fa da difesa e da argine; non deve mortificare il figlio ma utilizzare la tecnica del silenzio attivo se necessario. Il padre deve fornire aiuto nella gestione e non precludere le nuove possibilità che si aprono al ragazzo, la nuova socialità, che passa dalla dualità al gruppo, deve essere capita dal padre che deve saper stimolare la ricerca della propria impronta nel mondo.
Il paterno deve resistere a non utilizzare più il metodo della disponibilità ma deve andare ad attivare altre leve. Il codice materno deve diminuire in favore del codice paterno che deve poter emergere. La compiacenza, la gratificazione, la soddisfazione dei bisogni, la protezione tipici della madre, devono lasciare il posto al codice paterno che dà responsabilità, stimola alla conquista della vita, dà regole, pone limiti.
L’indipendenza dei figli è un dovere educativo dei genitori: Dice Laura Pigozzi psicoanalista: Se li spingiamo a credere che la dipendenza da noi sia amore, non dobbiamo stupirci se cercheranno e troveranno partner da cui dipendere”.
Sono le madri che devono attivare i padri, senza la madre capace di diminuirsi non c’è accesso al padre; a volte la madre non si fida del padre, il padre a volte è restio, in soggezione, dopo 11 anni di simbiosi e faticoso lavoro della madre è difficile per lei mollare la scena, quindi spesso il passaggio non c’è ed è la madre che assume persino il ruolo del padre. Il padre preferisce il ruolo di giocattolo piuttosto che assumersi la responsabilità del ruolo, che è quello di costituire una mappa regolativa del vivere entro cui il figlio impara a gestire la propria libertà. Il padre è colui che guida il ragazzo verso gli interessi, aiuta a scoprire le proprie risorse, lo spinge all’autonomia, ne sostiene le scelte e la riflessività, testimonia i propri valori, non li impone ma invita alla riflessione su di essi.