DATEMI TEMPO!
di Francesca Corbella
Il dono più grande che il bambino può ricevere dall’adulto che si prende cura di lui fin dalla primissima età è il tempo. Tempo sufficiente per sperimentare le proprie possibilità autonome di apprendimento, tempo per armonizzare le proprie conoscenze del mondo con il proprio livello di maturità.
Un altro dono è lo spazio: perché non c’è tempo umano che si sviluppi senza lo spazio. Spazio significa un ambiente consono alla ricerca di senso dei bambini.

Ma oggi ci soffermiamo sul tempo: perché diciamo che è il dono più grande?
Abbiamo due dimensioni in cui possiamo analizzare questo:
la prima è quella materiale, nella quale contestualizziamo la nostra vita ricca di azione, di progettazione, di impegno, con quella dei bambini. Si apre un gap generazionale enorme tra la nostr quotidianità e quella dei bambini. L’impegno sui vari fronti che ci viene richiesto quotidianamente ci allontana dalla dimensione lenta dei più piccoli.
Spesso vediamo mamme urlanti che strattonano i bambini per portarli di qua e di là. Abbiamo sempre i minuti contati, perché mentre portiamo i figli a scuola telefoniamo o guidiamo o facciamo altro, beviamo il caffè ingurgitandolo perché rientra nel rituale, ma se ci soffermiamo a pensare ci accorgiamo che quello che dovrebbe essere un momento di piacere non lo è affatto e fa parte solo degli automatismi. Portare il bambino a scuola, a piedi, chiacchierando con calma dovrebbe essere un piacere e non un automatismo come ne abbiamo tanti nella giornata, azioni o comportamenti che compiamo senza esserne consapevoli, siamo assenti.
(Questo a livelli estremi può tradursi in quella che è stata definita l’amnesia dissociativa (quella che fa dimenticare i bambini in macchina, per intenderci) ovvero quella particolare forma di assenza dal momento presente dettata da troppe incombenze e troppe responsabilità. E’ un fenomeno che non ha nulla a che fare con noncuranza e trascuratezza ma che risponde a un meccanismo di black out mentale, una sorta di vuoto di memoria transitorio che porta a una sconnessione delle funzioni della coscienza dalla memoria; un’amnesia temporanea che porta a dimenticare totalmente un pezzo di esistenza, di vita e di tempo per un dato lasso temporale. Generalmente può essere scatenato da momenti di intenso stress, traumi o situazioni di particolare tensione e stanchezza fisica e mentale).
Senza arrivare a questo caso, nel corso della giornata tante sono le occasioni in cui ci “dimentichiamo” di essere presenti su ciò che stiamo facendo. E in questo meccanismo rientrano i bambini che sono con noi.
I bambini hanno una dimensione temporale completamente calata nel qui e ora, se qualche elemento attira la loro attenzione, smettono di pensare a quello che devono fare, ecco perché è anche tanto difficile far fare loro determinate cose dettate dall’agenda adulta.
Il bambino è contingente, l’adulto è proiettato costantemente nel passato (emozionale, rimpianto) o nel futuro (progettuale o desiderato/atteso). Con la meditazione si impara a recuperare la dimensione presente e a godere della vita in ogni istante.
Il bambino non ha bisogno di meditazione, lui è una meditazione vivente!
Ma noi gli togliamo tempo! La sua formazione non conosce tempistica serrata, avviene per una lenta elaborazione costante e incessante ma coi tempi lunghi della ricerca, scoperta ed elaborazione dell’esperienza. Un traguardo della conoscenza si consuma attraverso questo processo e poi il bambino passa ad un altro, la conoscenza non è consumistica. La vita adulta sì! E’ volubile. Mentre il bambino è testardo nella ricerca di significato e nella sua sete di sapere.
Ecco perché noi dovremmo accompagnarlo attraverso il tempo a lui necessario.
Per esempio: non bisogna mai interrompere il gioco di un bambino. Il gioco è una serie di passaggi attraverso cui il bambino fa esperienza di un apprendimento; il gioco si esaurisce sempre in un tempo fisiologico, non è mai troppo lungo. Se noi interrompiamo questo processo impediamo l’apprendimento. Il bambino ne esce frustrato perché ciò che ha fatto gli è inutile. Infatti sicuramente farà un capriccio rendendo impossibile alla madre il suo proposito di uscire di casa per andare in fretta all’ufficio postale!
Il tempo dedicato al bambino è tempo per noi stessi. Se il bambino viene rispettato nella sua esigenza di tempo poi ci ricambierà capendo che in un’altra circostanza bisognerà dare retta alla mamma e spicciarsi! Il bambino ha una capacità intrinseca di autoregolazione e rispetto delle regole di convivenza. Ma queste regole è l’adulto che le imprime attraverso il rispetto, per cui il bambino si sente riconosciuto e amato e restituisce riconoscimento e amore. Il tempo dedicato al bambino è tempo qualitativo per la nostra relazione con lui. Un bambino ascoltato è un bambino capito che tenderà a capire gli altri. Questo è generativo di buona relazione, è il punto di partenza. Considerate che le relazioni sociali derivano tutte dalla relazione primigenia, quella con la madre.
Cosa è in concreto questo donare tempo?
Vi dò alcune fotografie di situazioni comuni:
- Ristorante sul porticciolo al mare, in vacanza, lui e lei desiderano godersi la serata e il buon piatto di pesce. Al bambino viene dato il tablet. Arrivano le portate, il bambino rifiuta il cibo. La mamma si inquieta (il suo ruolo di nutrice vacilla), il padre si ricorda di fare il padre e sbotta con autorità. Il figlio frigna. Ci voleva tanto a portare il piccolo lì a pochi passi sulla banchina a guardare i pescatori mentre arrivava il menu? O fare un disegno sulla tovaglietta di carta inventando una storia? Invece la serata finisce che i due litigano.
- Il bambino esce da scuola, la mamma arriva in ritardo trafelata, prende il bambino senza salutare le maestre e corre via. Bambino recalcitra sul seggiolino e non ne vuole sapere si stare seduto. Dobbiamo andare a fare la spesa! Tuona la mamma, come se questo concetto facesse breccia nella testa del bambino. Lui è stanco dopo una giornata di scuola, vuole salire sul muretto e correre nell’area antistante della scuola, finalmente libero, con i suoi amichetti. Diamogli questo tempo! Invece la spesa diventerà un inferno.
- Il bambino passa davanti a una vetrina e desidera un gioco. La mamma dice di no. Il bambino insiste e si mette a fare capricci. La mamma deve andare in un posto e non ha tempo da perdere. Entra nel negozio sbuffando e strattonando il bambino e compera la prima cosa esposta sul bancone che costa poco. Il messaggio educativo è di incoerenza. In più non lascia scelta al bambino, il quale una volta usciti in strada si butta per terra strepitando. L’occasione di un acquisto gioioso e di soddisfazione è sprecata.
Ricordiamo che il bambino non gioca mai per intrattenersi, ma solo per apprendere. Nella società consumistica si regalano oggetti di nessun interesse pedagogico ma che sono degli intrattenitori, con la caratteristica della rapidità dell’ottenimento e dell’esecuzione. Esemplare in tal senso è la maggior parte dei videogiochi. Se noi regaliamo un giocattolo pensando di ottenere gratitudine dal bambino (ovvero che lui stia “buono”) ci sbagliamo di grosso, gli facciamo infatti un torto che ci ritornerà ben presto in termini di irritazione e scontrosità.
Dare tempo ai bambini significa togliere di mezzo il nostro ego. Il genitore che ripaga il bambino con un bene materiale per il tempo che non è stato in grado di dedicargli, non è un genitore educante, consapevole, ma è uno che sistema la propria coscienza e recita con sé e con gli altri la parte convenzionale del buon genitore. Invece è nella dimensione dell’ascolto empatico che si gioca la partita. Una partita che si fa vincere al bambino, il quale crescerà più sereno e in vicinanza affettiva ed emotiva nelle sue relazioni. Solo un tempo disteso può essere il terreno di coltura della crescita armonica. Una crescita che è di tutti, in un’ottica di ecologia dello sviluppo non solo del bambino ma anche degli adulti che ne traggono una valorizzazione, non egoica, ma reale e naturale. Attesa e pazienza sono un dono al bambino e una concessione a noi stessi.
L’adulto interventista sta tutto nel fare e nell’agire e dimentica lo spazio della meraviglia, delal contemplazione, della riflessione, della curiosità per ciò che accade spontaneamente quando non siamo tesi unicamente ad efficientare la nostra vita e quella dei bambini.
Nel concedere tempo a sé e al bambino, il genitore diventa complice del suo percorso di esperienza, ne è partecipe, gioisce dei suoi traguardi. E quale altro significato migliore di questo si può voler dare all’essere genitori?
Francesca Corbella